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Se il conto è co-intestato, la solidarietà attiva permane anche dopo la morte del contitolare

Nel caso in cui il deposito bancario sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, si realizza una solidarietà dal lato attivo dell’obbligazione che sopravvive alla morte di uno dei contitolari, sicché il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell’altro, l’adempimento dell’intero saldo del libretto di deposito a risparmio, e l’adempimento così conseguito libera la banca verso gli eredi dell’altro contitolare. Questo è quanto deciso dalla Cassazione civile con l’ordinanza n. 7862/2021.

Fonte: Wolters Kluwer

l Tribunale di Roma rigettava la domanda con la quale C. T. e C. S. avevano proposto azione di reintegra della loro quota di legittima, vantata sulla successione della madre M. I., nei confronti degli eredi dell’erede testamentario S. S. e del Banco di Sardegna, presso cui la de cuius aveva un conto corrente cointestato con lo S.

Avverso tale sentenza hanno proposto appello le attrici, cui resisteva la Banca convenuta, e la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello.

Nella motivazione ricordava che la de cuius, con testamento olografo, aveva attribuito l’usufrutto generale sui beni relitti al convivente e che nella denuncia di successione erano state indicate anche delle somme giacenti su di un conto corrente acceso presso la Banca di Sardegna, conto del quale la defunta era cointestataria con il convivente.

Si lamentava in citazione che la banca avesse permesso all’altro cointestatario di prelevare l’intero importo depositato, pregiudicando quindi il diritto delle attrici alla loro quota successoria, sicché doveva reputarsi che l’azione avanzata nei confronti della banca avesse natura contrattuale, per inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di deposito bancario.

La Corte rilevava che nelle more le attrici avevano transatto la controversia con gli aventi causa dello S,, e tale circostanza rompeva in modo definitivo ogni possibile collegamento di responsabilità tra la banca e la parte erede dello S., nei confronti solamente del quale le appellanti avrebbero potuto far valere la tutela dei loro diritti ereditari.

Tuttavia, le appellanti insistevano nell’accoglimento della domanda verso la banca, domanda che però doveva esser dichiarata prescritta. Infatti, mentre il Tribunale aveva considerato che la documentazione versata in atti fornisse la prova dell’interruzione della prescrizione, viceversa in atti non si rinvenivano documenti aventi tale attitudine.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso C. S. sulla base di due motivi.

I motivi sono inammissibili.

Rileva il Collegio che, pur avendo la sentenza impugnata fondato la propria decisione sul rilievo della prescrizione, eccepita dalla convenuta e riproposta in appello, la giurisprudenza ha reiteratamente affermato che nel caso in cui il deposito bancario sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, si realizza una solidarietà dal lato attivo dell’obbligazione che sopravvive alla morte di uno dei contitolari, sicché il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell’altro, l’adempimento dell’intero saldo del libretto di deposito a risparmio, e l’adempimento così conseguito libera la banca verso gli eredi dell’altro contitolare. Emerge quindi in maniera evidente, come la domanda proposta risulterebbe in ogni caso infondata nel merito, essendo uno specifico obbligo della banca, scaturente dalla disciplina del contratto bancario, quello di permettere al singolo cointestatario, anche dopo la morte dell’altro titolare del rapporto, di poter pienamente disporre delle somme depositate, ferma restando la necessità di dover verificare la correttezza di tale attività nell’ambito dei rapporti interni tra colui che abbia prelevato e gli eredi del cointestatario deceduto (rapporti che, come correttamente ricordato dalla Corte d’Appello, sono stati oggetto di definizione in via transattiva). In disparte tale profilo, e ribadito che la sentenza impugnata ha fondato la sua decisione di rigetto della domanda attorea sul profilo preliminare della prescrizione, il motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia una violazione di legge, mancando la stessa indicazione della norma sostanziale o processuale che sarebbe stata violata dal giudice di merito, e soprattutto essendo carente la stessa individuazione dell’error ascrivibile al giudice di appello.

La Corte distrettuale, ragionevolmente avvalendosi proprio della documentazione presente nel fascicolo ricostruito (il richiamo ad alcune missive testimonia, infatti, che i giudici di appello hanno avuto modo di esaminare gli atti che la stessa ricorrente aveva inserito nel fascicolo oggetto di ricostruzione), ha però rilevato che mancavano, a differenza di quanto genericamente assunto dal Tribunale, atti effettivamente idonei a determinare l’effetto interruttivo della prescrizione.

A fronte di tale affermazione, la ricorrente assume in maniera del tutto generica, ed in violazione del precetto di cui all’art. 366, co. 1 n. 6 c.p.c., che in realtà i documenti presenti nella propria produzione comproverebbero l’avvenuta interruzione della prescrizione.

Manca però ogni specifica indicazione dei documenti ai quali si intende annettere tale efficacia e dove essi siano effettivamente reperibili, anche all’interno del fascicolo oggetto di ricostruzione a cura della ricorrente, così che, ove anche volesse opinarsi nel senso che i giudici di appello non abbiano esaminato e valutato tutta la documentazione contenuta nel fascicolo della ricorrente, ai fini dell’ammissibilità del motivo era specifico onere della stessa ricorrente quello di indicare quale documento decisivo non sarebbe stato esaminato, trascrivendone, ancorché per sintesi, il contenuto. Inoltre, senza avvedersi della ratio individuata dal giudice di appello, che ha ritenuto che ai fini interruttivi della prescrizione, è necessario che l’atto manifesti la volontà precisa della parte di far valere il proprio diritto nei confronti del destinatario della messa in mora, la ricorrente si limita a richiamare, sempre in maniera del tutto generica, l’esistenza di atti che erano volti a far ricostruire l’asse ereditario, senza adeguatamente contrastare l’affermazione del giudice di appello secondo cui la sola richiesta di conoscere la situazione bancaria della de cuius non equivale a sollevare contestazioni circa la legittimità della condotta della banca, e quindi a porre in essere un valido atto interruttivo, omettendo quindi di mettere in evidenza il carattere decisivo del fatto di cui sarebbe stata omessa la disamina.

Esito:

Inammissibile

Cassazione civile, Sez. II, ordinanza 19 marzo 2021, n. 7862

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