Crediti sorti dopo il fallimento: il termine per l’insinuazione è un anno
Fonte: Pluris.WoltersKluwer.it
L’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare successivamente alla declaratoria di fallimento non è soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 101, comma 1 e 4, l.fall. ma incontra il limite temporale di un anno decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare o dalla maturazione del credito. Così ha stabilito la Cassazione civile con l’ordinanza n. 2308/2021.
La Corte di Cassazione si pronuncia su un’interessante controversa in tema di termine per l’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura concorsuale.
La fattispecie al centro della controversia in esame vedeva il rigetto di un’opposizione allo stato passivo per il credito insinuato al passivo mediante domanda c.d. “ultratardiva” ai sensi dell’art. 101, ultimo comma, l.fall. ovvero art. 115 comma 2, l.fall. che il giudice delegato aveva dichiarato inammissibile sul rilievo che la mancata comunicazione dell’avviso ex art. 92 al creditore non integrasse, di per sé, una causa non imputabile del ritardo. Pertanto, il Tribunale – atteso che, nella specie, il nominativo non risultava nelle scritture contabili della società fallita – aveva concluso che la domanda del creditore il cui credito sia sorto dopo il fallimento ed il cui nominativo non risulti dai documenti contabili anche se ultratardiva, deve essere proposta «entro un termine congruo da quando l’istante è venuto a conoscenza del fallimento» – termine rimesso alla valutazione del giudice di merito secondo un criterio di ragionevolezza, in rapporto alle peculiarità del caso concreto. In caso contrario – aveva concluso il Tribunale nel giudizio di opposizione – grava sul creditore l’onere di dimostrare la non imputabilità del ritardo.
La Suprema Corte, investita della questione, scolpisce alcuni principi in relazione ai termini decadenziali per l’insinuazione al passivo di crediti sorti successivamente alla declaratoria di fallimento.
In primo luogo, afferma che ai crediti sopravvenuti non si applica il termine decadenziale di dodici (o sino a diciotto) mesi, di cui all’art. 101, comma 1 e ultimo comma, l.fall. in quanto è possibile che nuovi crediti concorsuali sorgano durante tutto l’arco della procedura fallimentare, anche in fasi assai avanzate della stessa (es. cfr. art. 70, comma 2, l.fall. sui giudizi di revoca degli atti pregiudizievoli per i creditori), sicchè il termine di cui si tratta ben potrebbe essere già scaduto alla data del sorgere del credito. Del resto, non potrebbe sostenersi che, costituendo il carattere sopravvenuto del credito stesso ragione di non imputabilità del ritardo dell’insinuazione, quest’ultima sarebbe comunque ammissibile in quanto non è affatto detto che il credito sorge in epoca successiva alla dichiarazione del fallimento per cause indipendenti da colpa del creditore. Basti in proposito pensare al credito del convenuto in revocatoria che abbia restituito quanto aveva ricevuto ai sensi dell’art. 70, comma 2, l.fall. Inoltre, qualora il termine non sia scaduto, al creditore sopravvenuto residuerebbe, per provvedere all’insinuazione, un tempo comunque più breve di quello a disposizione dei creditori preesistenti, con conseguenti dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo del principio di uguaglianza e del diritto di azione in giudizio.
Occorre invero tutelare l’esigenza di consentire ai creditori sopravvenuti uno spazio temporale non inferiore all’anno per la presentazione delle loro domande. Del resto, i creditori anteriori (quali quelli che hanno ormai maturato le condizioni di partecipazione al concorso al tempo della sentenza dichiarativa), posseggono già – prima di entrare nella fase di “tardività” regolata dalla norma dell’art. 101 ampi margini temporali per la gestione e proposizione delle loro domande di insinuazione.
Per portare i crediti sopravvenuti a una posizione adeguatamente accostabile a quella degli altri creditori, si deve fermare pertanto un termine annuale per la presentazione delle relative domande. Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha cura di precisare che, benchè l’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare non è soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 101, comma 1 e 4, l.fall., tale insinuazione incontra tuttavia il limite temporale di un anno decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare (Cass., 17 febbraio 2020, n. 3872) o dal momento stesso in cui si siano verificate le condizioni di partecipazione al passivo dopo il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (Cass., 10 luglio 2019, n. 18544).
Giova in proposito rammentare che il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al d.lgs. 14/2019, pur recando norme di carattere innovativo quanto ai tempi e ai modi di proposizione delle domande di ammissione al passivo e, dunque, non applicabili a fattispecie anteriori alla sua entrata in vigore, non fornisce utili elementi ai fini dell’individuazione della disciplina cui assoggettare la fattispecie del termine di insinuazione relativa a crediti sopravvenuti alla declaratoria fallimentare.
In conclusione, la Suprema Corte conferma la decisione del Tribunale di rigetto dell’opposizione in quanto la domanda di insinuazione era stata proposta dopo oltre quattro anni dall’insorgenza del credito nel corso della procedura fallimentare.