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Contributo a fondo perduto Coronavirus

  ANALISI 

Il c.d. contributo a fondo perduto è gestito, sotto tutti gli aspetti, dall’Agenzia delle Entrate, nonostante la sua natura fiscale sia dubbia.
Infatti, il menzionato contributo non è espressione di una vera e propria agevolazione fiscale, non innestandosi sulla disciplina di nessun tributo. A livello generale, può essere inteso alla stregua di un contributo erogato ai soggetti che, a causa dell’emergenza epidemiologica, hanno subito un calo del fatturato.
Premesso tanto, l’art. 25 co. 12 del DL 34/2020 prevede che in relazione ai controlli operano le norme del DPR 600/73, per cui, a titolo esemplificativo, gli uffici possono utilizzare i relativi poteri. Inoltre, la competenza, nonché la successiva legittimazione processuale, spettano alla Direzione provinciale competente in base al domicilio fiscale del contribuente.
Il recupero del contributo erogato sulla base di dati non corretti e/o non veritieri avviene con avviso di recupero del credito d’imposta ai sensi dell’art. 1 co. 421 e ss. della L. 311/2004, come se si stesse trattando di un credito d’imposta indebitamente fruito.
L’avviso di recupero dovrà essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui il contributo è percepito (art. 27 co. 16 del DL 185/2008). Dunque, considerato che l’erogazione è avvenuta nel 2020, entro il 31.12.2028.
Sugli importi oggetto di recupero sono dovuti gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo di cui all’art. 20 del DPR 602/73.

Sanzioni amministrative

L’indebita percezione del contributo a fondo perduto è trattata dal legislatore alla stregua di una compensazione di crediti inesistenti, pertanto:

  • la sanzione va dal 100% al 200% dell’importo indebitamente percepito;
  • le somme, a prescindere dal ricorso, sono iscritte nei ruoli straordinari ex art. 27 co. 19 del DL 185/2008 (è ammessa quindi l’esazione intera del contributo e delle sanzioni);
  • in nessun caso è ammessa la definizione della sanzione al terzo di cui all’art. 17 del DLgs. 472/97, a prescindere dal fatto che la condotta del contribuente sia stata colposa o dolosa.

Ravvedimento operoso

L’indebita percezione del contributo a fondo perduto può essere sanata mediante ravvedimento operoso ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 472/97.
Occorre, prima che sia notificato l’avviso di recupero, versare il contributo indebitamente percepito, gli interessi legali e le sanzioni ex art. 13 co. 5 del DLgs. 471/97 del 100% ridotte.
La riduzione delle sanzioni, a seconda di quando avviene il ravvedimento, può essere da 1/9 a 1/5 (operano le lettere da a-bis) a b-quater) dell’art. 13 del DLgs. 472/97).
Il riversamento del contributo non può avvenire tramite compensazione (provv. Agenzia delle Entrate 10.6.2020 n. 230439 § 6).
I codici tributo da utilizzarsi ai fini del ravvedimento, divisi per contributo, sanzioni e interessi sono stati individuati dalla ris. Agenzia delle Entrate 26.6.2020 n. 37. Occorre utilizzare il modello F24 “Versamenti con elementi identificativi”.

Sanzioni penali

Nei casi di percezione del contributo in tutto o in parte non spettante si applica l’art. 316-ter c.p. (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato).

Tutela giudiziale

In merito al ricorso contro l’atto di recupero del contributo, si applica, ai sensi dell’art. 25 del DL 34/2020, il DLgs. 546/92, dunque il legislatore afferma che sussiste la giurisdizione tributaria.
Ciò induce ad affermare che:

  • l’atto di recupero va impugnato nei sessanta giorni dalla data di notifica di fronte alla Commissione tributaria provinciale competente;
  • la legittimazione passiva spetta alla Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate individuata con riferimento al domicilio fiscale del contribuente.

Legittimità costituzionale

Il contributo a fondo perduto, per come è strutturato, non sembra avere natura tributaria.
L’attribuzione delle relative liti alla giurisdizione tributaria potrebbe quindi ritenersi contraria alla Costituzione per violazione dell’art. 102 Cost., che vieta l’istituzione di nuovi giudici speciali.
È irrilevante, a questi fini, che la gestione del contributo sia affidata all’Agenzia delle Entrate (Corte Cost. 14.5.2008 n. 130).

Comunicazione di scarto

L’Agenzia delle Entrate, in determinate ipotesi come ad esempio l’IBAN presentante anomalie, ha generato una ricevuta di scarto dell’istanza di ammissione al contributo a fondo perduto.
Ove il contribuente non abbia ripresentato l’istanza entro il 13.8.2020 e fermi restando i requisiti per accedere al contributo, si ritiene possibile presentare ricorso. Tale comunicazione è da ritenersi impugnabile, in quanto il contribuente deve avere tutela.
Il ricorso va notificato nei consueti sessanta giorni includendo la sospensione feriale.
Spesso, lo scarto deriva da IBAN non formalmente intestati al contribuente, oppure da IBAN mutati a seguito di accorpamenti o soppressioni di filiali dell’istituto di credito. Per un certo numero di mesi, il vecchio IBAN coesiste con il nuovo è ciò può far risultare anomalie.
Laddove non si rientri nelle casistiche esaminate dalla ris. Agenzia delle Entrate 12.10.2020 n. 65, che si sta per illustrare, è bene presentare tempestivo ricorso.

Riammissione dei contribuenti

Nella risoluzione 12.10.2020 n. 65, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che, al ricorrere di determinate condizioni, possono, anche dopo il 13.8.2020, ripresentare l’istanza i contribuenti che:

  • hanno presentato “istanze per le quali è stato regolarmente eseguito il mandato di pagamento ma che, a seguito di errori commessi dagli utenti e individuati solo dopo l’accreditamento della somma, hanno portato questi ultimi a ricevere un ammontare di contributo inferiore a quello spettante”;
  • per disfunzioni inerenti al codice IBAN indicato nel modello, hanno ricevuto una comunicazione di scarto dopo il 13.8.2020 e, per questa ragione, non sono stati in grado di ripresentarla.

La riammissione non avviene ripresentando l’istanza mediante i canali di trasmissione telematica. Occorre infatti ritrasmetterla mediante PEC alla Direzione provinciale competente.
L’istanza va firmata digitalmente dal richiedente o dall’intermediario, e allegata alla PEC. Occorre inoltre allegare una nota mediante la quale si illustrano le ragioni della stessa.
L’Agenzia delle Entrate specifica che se l’autotutela non viene accolta, il contribuente potrà ricorrere contro il provvedimento per vizi propri “in conformità ai principi in materia di impugnabilità del diniego di autotutela”.
Tale affermazione lascia perplessi: richiamare i principi in tema di diniego di autotutela significa nei fatti negare qualsiasi tutela (vedasi la voce Autotutela, Ricorso contro il diniego)

Fonte: Il Quotidiano del Commercialista

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