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Non è precluso al contribuente il ricorso alle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà al fine di dimostrare l’inesistenza della pretesa erariale basata su presunzioni legali – Comm. trib. regionale Campania Napoli Sez. XVIII, Sent., 16-12-2020, n. 6460

Fonte: PlurisCedam

Con sentenza del 13 luglio 2009 la Commissione Tributaria Provinciale di Benevento accoglieva il ricorso proposto dal contribuente R.M. avverso due avvisi di accertamento con cui Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Benevento, a seguito di contraddittorio, determinava e recuperava a tassazione maggiori redditi, pari a Euro 369.714,00 per l’anno 2004 ed Euro 314.362,00 per l’anno 2005.

Il contribuente eccepiva la nullità dell’avviso di accertamento per mancata allegazione del provvedimento autorizzativo delle indagini bancarie, violazione artt. 32 D.P.R. n. 600 del 1973, carenza di motivazione. Nel merito deduceva di aver ricevuto, a seguito del decesso del padre R.O., avvenuto nell’aprile del 2003, la somma in contanti di Euro 650.000,00 che versava sui propri conti correnti bancari nel corso del 2004 e 2005. A sostegno dell’assunto produceva dichiarazioni sostitutive di atti notori rese da R.M.T., R.M. e D.J.A. e T.P..

Resisteva l’Ufficio con controdeduzioni ritualmente depositate, con cui asseriva la legittimità del proprio operato, concludendo per il rigetto degli avversi ricorsi.

La Commissione Tributaria Provinciale di Benevento accoglieva i ricorsi del contribuente, ritenendo che gli atti notori prodotti dal contribuente potevano essere valutati dal Giudice Tributario come elementi indiziari e, essendo gli stessi convincenti del fatto che le disponibilità provenivano dal padre del contribuente e giustificavano le movimentazioni bancarie contestate, gli accertamenti andavano annullati.

Avverso la pronuncia proponeva appello l’Ufficio, incentrato sull’inidoneità degli atti notori a vincere la presunzione legale di cui all’art.32 D.P.R. n. 600 del 1973, anche in ragione dell’espresso divieto della prova testimoniale nel processo tributario che, tramite gli atti notori, verrebbe introdotta nel giudizio.

I giudici di secondo grado con sentenza n. 141/33/12 depositata in data 06/07/2012, accoglievano il gravame, rilevando che le dichiarazioni sostitutive rese da parenti e da altro soggetto (T.P.), che aveva riferito notizie apprese da R.O. in punto di morte, non assurgono a prova idonea a giustificare le ingenti somme di moneta contante transitate dal de cuius al figlio R.M..

Col ricorso per Cassazione, il contribuente impugnava la sentenza di 2 grado, formulando tre motivi di censura.

In particolare, col secondo motivo (poi accolto), il contribuente eccepiva l’utilizzabilità le dichiarazioni rese da terzi, rivestendo le stesse valore di elementi indiziari, e sul punto non vi era stata da parte del Giudice a quo, adeguata motivazione di rigetto di tali elementi indiziari invocati dal contribuente.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in oggetto, accoglieva detta censura, cassando con rinvio, con la seguente motivazione: … nel caso che ci occupa, la Commissione regionale, dopo aver richiamato le statuizioni della Corte Costituzionale n.18 del 2000, ha affermato, in assenza di adeguata motivazione, che le dichiarazioni sostitutive rese dai parenti e da un terzo, prodotte dal contribuente al fine di dimostrare che parte delle somme oggetto di contestazione erano riconducibili ad elargizioni di cui il padre aveva voluto beneficiarlo, sebbene ammissibili, non potessero assurgere a prova idonea a giustificare le ingenti somme di moneta contante transitate dal de cuius R.O. al figlio R.M.. Trattasi di affermazione assertiva che non consente di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dal giudice di merito che lo ha indotto ad escludere che le dichiarazioni sostitutive di terzi potessero avere anche solo valenza indiziaria idonea a superare le presunzioni offerte dall’Amministrazione e che evidenzia una sostanziale inadeguata valutazione delle risultanze probatorie ….

Riassumeva il giudizio d’appello il contribuente R.M., riproponendo le questioni sollevate in primo grado; chiedeva, in via principale, l’annullamento della pretesa fiscale; in via subordinata, la riduzione dei maggiori imponibili accertati.

Si costituiva in giudizio l’Ufficio, evidenziando che il contribuente, pur avendo notificato via Pec la riassunzione in data 22 luglio 2019, si era poi costituito in giudizio il 23 luglio 2019 con R.G. 5742/2019 con modalità cartacea, contravvenendo così all’obbligo del novello art.16 bis D.Lgs. n. 546 del 1992 che ha introdotto la obbligatorietà della modalità telematica con effetto dal 1 luglio 2019.

Chiedeva, pertanto, in via preliminare, che venisse dichiarata l’inammissibilità della riassunzione.

Nel merito ribadiva la legittimità dell’accertamento, compiuto in conformità alle disposizioni di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 (imposte sui redditi) e dell’art. 51 D.P.R. n. 633 del 1972 (imposta sul valore aggiunto), secondo cui i dati e gli elementi attinenti ai rapporti bancari “sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine”.

Nel caso in esame, le dichiarazioni di terzi non potevano essere considerate sufficienti a superare la presunzione legale in favore del Fisco di cui al richiamato articolo 32 D.P.R. n. 600 del 1973. Gli elementi a sostegno delle ragioni del contribuente non erano rigorosi né fornivano giustificazione dei singoli versamenti in contanti (eccedenti il reddito) riportati nei conti correnti contestati.

Evidenziava l’Ufficio che R.O. era deceduto il 17 aprile 2003 e le movimentazioni bancarie contestate erano riferite al periodo successivo, 2004 e 2005. Non risultava, inoltre, che tali ingenti quantità di denaro (pag.19 e seguenti ricorso introduttivo anno 2004 e pag. 18 e seguenti ricorso introduttivo anno 2005) fossero state dichiarate nella successione di R.O. né che fosse dimostrato il passaggio dai conti di R.O. al figlio M..

Quanto alle altre considerazioni di merito, l’Ufficio precisava di aver preso in considerazione nella fase endoprocedimentale dell’accertamento tutte le movimentazioni bancarie giustificate dalle parte, recuperando a tassazione i versamenti non giustificati.

Con memoria di replica il contribuente si opponeva alla declaratoria d’inammissibilità della riassunzione, evidenziando che l’atto di riassunzione era stato non solo notificato via Pec alla controparte ma, altresì, depositato telematicamente, così come risulta dalle ricevute rilasciate dal Sigit, attestanti l’avvenuto deposito dell’atto di riassunzione con i relativi allegati e l’attribuzione del numero di registro generale (R.G.A.) n. 5742/2019.

Deduceva che i giudici della Commissione Tributaria Regionale erano chiamati a riesaminare l’intera vicenda processuale, alla luce dell’ammissibilità e rilevanza delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario, secondo quanto espressamente statuito dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 13174 del 16 maggio 2019.

A sostegno dell’assunto, la parte rappresentava che il principio di ammissibilità e rilevanza delle dichiarazioni dei terzi in favore del contribuente era stato nuovamente riaffermato dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 24531 del 02 ottobre 2019, che aveva chiarito: al fine di evitare che l’inammissibilità di tali dichiarazioni possa pregiudicare la difesa del contribuente ed il principio di eguaglianza delle parti, è necessario riconoscere che, al pari dell’Amministrazione finanziaria, anche il contribuente possa introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni e tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi”.

Alla luce dei richiamati principi, il contribuente chiedeva di rigettare le eccezioni sollevate dall’Ufficio nelle proprie controdeduzioni, avendo dimostrato sin dal giudizio di primo grado la provenienza delle somme versate negli anni 2004 e 2005 sui propri conti correnti mediante la produzione di assegni, estratti conto, atti di vendita, ricevute di pagamento, così giustificando tutte le contestazioni sollevate dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Benevento.

Evidenziava che le somme contestate dall’Ufficio derivavano anche da cospicui lasciti in contanti da parte del padre di R.M., nel frattempo deceduto, sicché l’unica prova della donazione di tali somme poteva essere offerta dal contribuente soltanto mediante atti notori.

Evocava la sentenza n. 9903 del 27/05/2020, con cui la Corte Suprema di Cassazione, in un caso analogo relativo ad un accertamento bancario ex art. 32 D.P.R. n. 600 del 1973, aveva ritenuto che al contribuente può essere data la possibilità di provare la dazione in contanti, anche di ingenti somme, di un atto di liberalità, mediante una dichiarazione giurata, la quale ha valenza indiziaria e deve essere presa in considerazione dai giudici di merito insieme all’ulteriore documentazione prodotta dalla parte in giudizio.

Concludeva chiedendo di annullare gli avvisi di accertamento impugnati perché del tutto illegittimi ed infondati per i motivi in diritto ed in fatto esposti; in subordine, ridurre sensibilmente l’ammontare del maggior imponibile accertato e della conseguente somma dovuta, nella misura ritenuta opportuna e ritenere non applicabili le sanzioni irrogate dall’Ufficio o rideterminarle; condannare l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Benevento alle spese, ai diritti ed agli onorari, ex art. 15 D.Lgs. n. 546 del 1992, con distrazione al difensore, ex art. 93, primo comma, c.p.c..

All’odierna udienza, essendo pervenuta in data 2 novembre 2020 formale rinuncia del contribuente alla trattazione della causa in pubblica udienza, la Commissione decideva come da dispositivo versato in atti.

Motivi della decisione

“In via preliminare, va disattesa, giacché infondata, l’eccezione sollevata dall’Ufficio di inammissibilità della riassunzione, risultando il relativo atto, oltre che notificato via PEC, anche depositato telematicamente, così come risulta dalle ricevute rilasciate dal Sigit.

Nel merito l’appello non merita accoglimento.

Nell’aderire al dictum espresso nella pronuncia di annullamento con rinvio della Corte Suprema di Cassazione ritiene la Commissione che, ai fini della dimostrazione della inesistenza della pretesa fiscale basata sulle presunzioni legali, non è precluso al contribuente il ricorso alle dichiarazioni rese da terzi al di fuori del giudizio e, quindi, anche dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari che possono concorre a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice.

A tal fine, rileva, in primis, il dato che le eccedenze reddituali contestate a R.M. siano emerse dall’esame di versamenti bancari compiuti dal contribuente su conti a lui intestati negli anni 2004 e 2005 successivi al decesso del padre R.O., avvenuto nell’aprile 2003.

Il versamento su conti correnti intestati al contribuente è indicativo della volontà di quest’ultimo di rendere le liquidità “visibili” e suscettibili di accertamento da parte degli organi finanziari riguardo alla lecita provenienza e al regime fiscale.

Sulla scorta della documentazione prodotta in giudizio, la parte (che pure non si era sottratto al confronto con l’Ufficio) ha chiarito che:

in relazione all’anno d’imposta 2004, dall’importo di Euro 369.714,00, la somma di Euro79.444.52 è oggetto di una operazione extra conto della B.M.P. da imputarsi a soggetto diverso dal contribuente, come chiarito dalla stessa Banca con lettera dell’8 giugno 2009, nella quale comunica di aver rilevato, a seguito di verifica dei documenti contabili, che l’operazione di Euro 79.444,52 registrata in data 23/06/2004 con valuta 23/06/2004 è di competenza di altro nominativo;

– la somma di Euro 30.000,00 rappresenta parte della somma ricevuta in contanti dal contribuente per la vendita di un appartamento;

– la somma di Euro 40.000,00 (25.000,00 + 15.000,00), come già chiarito dal contribuente in sede di contraddittorio, riguarda operazioni di giroconto;

– la somma di Euro 6.400,00 riguarda anch’essa un’operazione di giroconto.

Il contribuente ha, ancora, giustificato la provenienza della parte residua pari ad Euro 213.870,00 Euro sostenendo di aver ricevuto, a seguito del decesso del padre R.O., avvenuto in data 17 aprile 2003, una somma di denaro pari ad Euro 650.000,00 destinata anche al pagamento delle residue rate di mutuo contratto dal padre.

La circostanza che trattasi di dichiarazioni sostitutive di atti notori provenienti da parenti contribuente nonché da uno stretto collaboratore del padre R.O. (al quale quest’ultimo aveva confidato, prima di morire, di essere in possesso di notevoli disponibilità finanziarie liquide e di volerle destinare al figlio R.M.) non è per ciò solo indice di inattendibilità, in ragione della sostanziale convergenza dei contenuti e dell’assenza di dati di segno contrario che inducano ad ipotizzare reciproche influenze, se non addirittura una fraudolenta concertazione tra i dichiaranti.

Non emergono dagli esperiti accertamenti elementi in grado di smentire la tesi sostenuta dal contribuente incentrata sulla provenienza familiare del denaro contante versato in più tranche sui conti correnti a lui intestati e idonei a dimostrarne l’incongruità rispetto alla capacità patrimoniale e reddituale del dante causa, oltre che una diversa destinazione rispetto a quella palesata con i versamenti, ovvero l’implementazione del capitale sociale della R. s.p.a. (attività imprenditoriale della famiglia).

Infine, la circostanza, evidenziata dall’Ufficio, che dette ingenti quantità di denaro non sarebbero state dichiarate nella successione di R.O. avrebbe dovuto costituire oggetto di un distinto e specifico accertamento.

In definitiva, in una visione complessiva, le risultanze acquisite non consentono di ritenere le giustificazioni offerte dal contribuente inattendibili e inidonee a superare le presunzioni legali su cui si fonda l’azione accertatrice dell’Ufficio.

L’appello proposto dall’Ufficio va, pertanto, rigettato”.

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